Esattamente una settimana fa, l’Italia, la Sardegna, Cagliari e il Cagliari hanno perso uno degli ultimi rappresentanti del “calcio di una volta”, quello raccontato da nonni e genitori con nostalgia, attraverso immagini a bassa definizione che prendono colore grazie alla nitidezza dei ricordi. All’ultimo saluto, erano in 30 mila. La Sardegna si è fermata in un giorno di lutto regionale. Nella fede Fifa di Zurigo la bandiera italiana era a mezz’asta. Lo era anche a Roma, fuori dalle strutture della Federcalcio. Anche solamente tentare di raccontare Gigi Riva persona e personaggio è impresa ardua. Per certi versi inutile. Si potrebbe scrivere dell’infanzia dolorosa, gli anni in collegio e la perdita dei genitori mai lenita, degli inizi nelle file del Legnano, dall’approdo a Cagliari con la sorella, del rifiuto a Juve, Milan e Inter, del soprannome “Rombo di tuono” attribuitogli da Gianni Brera, dello scudetto del ’70, dell’abbraccio con Roberto Baggio dopo “quel” rigore, del record di gol con la maglia azzurra, a cui mai nessuno si è mai neanche avvicinato, della riservatezza, della passione per la musica, del ruolo decisivo ai Mondiali del 2006 vinti dall’Italia.
Ci sono persone, sportivi, calciatori che riescono ad infrangere la giurisdizione del tempo, vivere una volta e rimanere per sempre. Io, che Gigi Riva in azione non lo ho mai visto, ne conosco gli aneddoti come se davvero lo avessi visto sfrecciare verso la porta avversaria. Non abbiamo bisogno di spulciare annali o siti internet, Gigi Riva si sa. E umilmente, penso che la sua grandezza sia tutta qui.
Per nessuno le sue gesta sono estranee. C’è chi Gigi Riva lo ha visto, e c’è a chi è stato raccontato. Un po’ come si fa con i miti.