Abbiamo deciso di iniziare il nostro alfabeto con una figura che spesso viene colpevolizzata e poco capita: l’arbitro. Ecco perché abbiamo scelto di dare finalmente spazio a uno di loro, il “mitra” Daniele Bella, per parlarci a cuore aperto del suo ruolo, delle difficoltà che affronta e delle emozioni che prova. Una figura che, troppo spesso, viene messa in ombra, ma che merita tutta l’attenzione possibile.
Daniele ci racconterà cosa vuol dire davvero essere un arbitro in Ticino: le sensazioni che provano sul campo, il peso delle decisioni e l’impegno che c’è dietro ogni fischio. Un percorso che non è solo tecnico, ma soprattutto mentale, fatto di studio, dedizione e una grande passione per il calcio.
In questa prima “Lettera A”, vogliamo farvi entrare nel mondo dell’arbitro, mettendo in luce l’importanza del rispetto tra giocatori e arbitri, l’emotività delle decisioni e quel lato umano che troppo spesso viene ignorato. Perché capire cosa passa nella mente di chi è chiamato a fare da “giudice” in mezzo al caos di una partita è qualcosa di fondamentale, ma troppo spesso trascurato
Ciao Daniele, arbitri in Svizzera da qualche anno. Qual è stato il tuo percorso sportivo? Come sei arrivato a scegliere la strada dell’arbitraggio? Raccontaci come è iniziata questa avventura.
Il mio percorso sportivo inizia alla tenera età di 4 anni, ricordo ancora i primi calci al pallone sul campo B del vecchio Comunale di Chiasso e nello stesso momento se penso agli anni della Scuola Calcio, la prima persona che mi viene in mente, nonche primo allenatore, è Aldo Binda, una persona dal cuore d’oro, a cui dedico ancora un pensiero dopo la sua scomparsa.
Faccio tutta la trafila nel settore giovanile del F.C Chiasso, passando dalle Under 14 e 15 e terminando con gli Allievi.
Terminato il settore giovanile, vado a giocare nel Morbio dove rimango un paio di anni, poi Castello, Rancate e per concludere nel Vacallo, dove trascorro molti anni e dove ancora oggi ne sono tesserato in qualità di arbitro.
Purtroppo devo ammettere di aver giocato poco, spesso ero infortunato e non riuscivo quasi mai ad avere una stabilità fisica durante l’anno, motivo per cui dopo circa 6/7 anni negli attivi, decido di smettere completamente con il calcio giocato.
Non è stata una scelta facile, ma mi rendevo sempre più conto, anno dopo anno, di aver sempre più problemi fisici; mi vedevano di più gli specialisti dell’Ars Medica che i miei genitori (ride, ndr)
Una scelta difficile perchè oltre che amare il gioco del calcio, sapevo che non avrei condiviso più momenti di divertimento con i miei amici.
Il calcio, soprattutto da bambini/ragazzi era al centro di ogni cosa, a scuola durante la ricreazione si giocava a calcio, al mercoledì pomeriggio, terminata la scuola e prima di andare ad allenamento ci si riuniva nei vari campetti dei paesi per sfidarsi, in piscina in estate idem…ovunque… bastava avere un pallone, poi a quale gioco si doveva giocare era meno importante.
La cosa più bella di tutto ciò è aver condiviso tutti questi momenti con persone dove tutt’ora vi è un forte legame d’ amicizia e a volte quando ci ritroviamo, ci capita spesso di rivivere tutti i momenti della nostra infanzia “calcistica”. Anche perchè durante gli anni vi posso confermare che ne combinavamo davvero di ogni, sia ad allenamento, che in trasferta o a Tenero durante il camp estivo.
Sembra paradossale, ma proprio grazie ai continui infortuni riesco a dire stop al calcio giocato, da qui mi prende l’idea di iniziare con l’arbitraggio, volevo fare qualcosa per rimanere nel calcio regionale, non mi andava di allenare e per esclusione mi rimaneva solamente l’arbitraggio.
Ne parlo con diversi amici, che tutt’ora sono arbitri e mi convincono ad iniziare, e oggi mi capita spesso di ringraziarli, perchè grazie anche a loro ho accettato questa difficile sfida, dico così perchè penso sia il ruolo più difficile nello sport in generale, ma è una scelta che rifarei altre mille volte, non cosi tardi però.
Prima di indossare la divisa arbitrale, eri un calciatore. In che modo questa esperienza ha influenzato il tuo modo di vedere e vivere il ruolo dell’arbitro? C’è stato un momento o un episodio particolare che ti ha spinto a intraprendere questo percorso?
Sicuramente il fatto di aver “giocato” a calcio mi aiuta molto durante le partite.
Ci sono delle dinamiche di gioco, delle situazioni particolari e dei momenti della partita in cui l’esperienza di aver giocato a calcio mi fa percepire le cose in maniera diversa, che solo chi ha giocato o gioca, capisce.
Con questo non dico che chi non abbia giocato a calcio non sia un buon arbitro o non lo possa fare, assolutamente.
Capita spesso di sentire alcuni opinionisti tra cui: ex allenatori ed ex giocatori, che sostengono di voler ex calciatori, sia nel ruolo d’arbitro che nel ruolo di varista.
Spesso si parla di una certa distanza o incomprensione tra giocatori, società e arbitri. Secondo te, cosa si potrebbe fare per migliorare il dialogo e il rapporto tra queste figure?
È una domanda a cui faccio fatica a trovare una risposta che possa essere la chiave di quanto chiesto.
Purtroppo non è una questione solamente di incomprensione, a volte si va proprio oltre e questo dev’essere il primo punto su cui lavorare.
Personalmente penso che ci sia poca propensione e predisposizione ad immedesimarsi nell’altra persona, qualsiasi il ruolo sia.
Nonostante ciò devo dire che in Svizzera, non succedono spesso gravi episodi, nello stesso momento se penso a cosa accade nei campi a pochi km da noi, probabilmente avrei paura anche ad arbitrare.
E qui, come dicevo prima, non è una questione di incomprensione ma del poco senso etico che c’è nella nostra società, dobbiamo ricordarci che stiamo praticando dello sport, quindi sano divertimento e benessere personale.
Il nostro ruolo è molto delicato, sono permessi pochissimi errori , quasi niente. Ci vuole molta preparazione per farsi trovare pronti e per cercare di sbagliare il meno possibile; dico il meno possibile perchè non sbagliare è impossibile, vediamo squadre di arbitri che sbagliano anche nei campionati maggiori e nelle competizioni europee e mondiali.
Guardando al panorama internazionale, c’è un arbitro che ammiri particolarmente o che prendi come punto di riferimento? E secondo te, quali sono le caratteristiche fondamentali che un buon arbitro deve possedere?
In primis dico Daniele Orsato, una persona che ho avuto modo di conoscere durante una serata organizzata dalla FTC, in cui si raccontava a 360°, devo dire che l’avrei ascoltato per ore e ore.
E poi non posso non menzionare Szymon Marciniak, è un altro arbitro che mi piace molto.
Devo essere onesto, mi piacciono molto gli arbitri autoritari e con grandissima personalità e tra quelli indicati vi sono forti somiglianze.
Siccome seguo molto il campionato di serie A, un altro arbitro che mi piace molto è Andrea Colombo (della sezione di Como), avrà grandissime chances per diventare un ottimo arbitro internazionale, pensare che è solo del 1990.
Tra le caratteristiche fondamentali per poter arbitrare sicuramente bisogna essere autoritari, determinati, perseveranti e risoluti.
Da un anno hai iniziato a dirigere partite anche nella GOAT League. Che tipo di esperienza è per te? Cosa ti sta insegnando, sia dal punto di vista tecnico che umano?
La Goat League è stata una bella esperienza, che rifarei altre mille volte, perchè mi ha permesso di conoscere molte persone con cui ancora oggi capita di sentirmi.
Dal punto di vista tecnico mi ha insegnato molto, ho avuto la possibilità di arbitrare giocatori che giocano tutt’ora in B/C/D ed ex calciatori di serie A, nel calcio a 7 la velocità di gioco è nettamente più intensa, di conseguenza lo sono anche i contatti, intensi e continui.
Poi gli stessi giocatori, abituati ad altri palcoscenici ti contestano tutto (a parte qualche content a cui non bisogna dare peso), e quindi devi essere sempre attento altrimenti le telecamere ti smentivano immediatamente.
Ma con qualche giocatore devo dire che è stato come fare “scuola”; se penso a Picci, Moscardelli, Spolli o Amelia stesso.
Sono progetti interessanti che però lasciano il tempo che trovano, appena non servi più, vieni “accantonato” e quindi devi vivere queste esperienze cosi come arrivano.
Ricordo ancora i tanti sacrifici per essere presenti, anche perchè l’evento si faceva in settimana e non durante il weekend, non volevano che si accavallassero Serie B e Goat League per le visualizzazioni, e soprattutto dopo aver arbitrato la prima “summer cup” volevano confermarci a tutti i costi di modo che l’evento avesse la qualità con l’arbitraggio, il live veniva seguito da circa 30/40 mila persone ogni giorno.
Purtroppo però al giorno d’oggi conta molto di più la visibilità che hai sui social rispetto a quello che dai e che sei realmente.
Fortunatamente sono una persona che riesce sempre a tirare fuori il bicchiere mezzo pieno da ogni esperienza e mai quello vuoto.
Nello stesso momento, l’evento, mi ha dato l’opportunità di conoscere Bojan, un altro arbitro ticinese che oggi troviamo sui campi di prima lega, non ci conoscevamo e devo dire che ho avuto modo di conoscere una grandissima persona.
Chissà se riusciremo a farci spazio anche nella Kings League Italia…
Mentre arbitri, come gestisci i rapporti personali con giocatori, allenatori o dirigenti? È difficile mantenere l’obiettività e non farti influenzare da eventuali legami o conoscenze?
Inizialmente devo essere onesto ero un po’ preoccupato di questa cosa, perchè comunque nel calcio regionale ho passato tanti anni e quindi ho conosciuto molte persone, oggi mi capita di arbitrare squadre dove magari con l’allenatore ho condiviso partite da giocatore, oppure ex compagni di squadra, oppure di arbitrare amici, quindi vi posso confermare che non è sempre facile, a volte sono proprio le persone che conosci maggiormente a prendersi più confidenza e a lasciarsi scappare qualche parola in più, ma tutto sta nell’intelligenza delle persone e nel senso etico di cui vi parlavo sopra, sono una persona a cui piace mettere i puntini sulle I, anche quando ho di fronte una persona che conosco, non mi faccio influenzare di nulla e pretendo che il rispetto non venga oltrepassato
In campo ogni volta ci sono 3 squadre che vogliono vincere, una di quelle siamo noi arbitri.
Il fatto di conoscersi però può avere anche degli aspetti positivi, a maggior ragione una volta terminata la partita, dove ci si può confrontare e scambiare punti di vista, proprio perchè ci si conosce.
Diciamo che ogni partita serve per farti conoscere nel tuo modo di arbitrare e serve per conoscere i giocatori stessi, dai movimenti, dalle loro caratteristiche a qualsiasi altra cosa.
L’arbitraggio è spesso una strada poco considerata dai giovani. Cosa diresti a un ragazzo o una ragazza che sta pensando di diventare arbitro? Quali sono le principali difficoltà e le soddisfazioni che si incontrano in questo ruolo?
Penso sia una grandissima scuola d’insegnamento nonostante la consapevolezza che iniziare a quell’età sia difficile. Mi metto nei panni di un ragazzo di vent’anni che arbitra e mi viene da fargli solamente i complimenti, oltre l’aspetto regolamentare e tecnico figuriamoci quello caratteriale, riuscire a gestire più di 30 persone a quell’età penso non debba essere semplice.
L’arbitraggio è come un percorso di vita, parallelo alla quotidianità, ti aiuta a crescere velocemente in tutte le difficoltà che s’incontrano lungo il percorso e ti aiuta a prendere decisioni importanti nel minor tempo possibile.
Come soddisfazione più grande penso ci sia quella di essere reputato un buon arbitro, il cantone è piccolo e le voci girano molto velocemente, l’obbiettivo è quello di farle girare in maniera positiva però…
Oggi le squadre ti conoscono, sanno già chi arriverà ad arbitrare, quindi è meglio partire con un piede avanti piuttosto che uno indietro.
Durante una partita, ti capita di affrontare situazioni molto tese, con proteste o pressioni forti. Quali strategie usi per mantenere il controllo emotivo e gestire questi momenti?
Diciamo che anche io come molti ho dei “riti” scaramantici prima di ogni gara.
Prima di entrare in campo, mi prendo diversi minuti dove cerco di portare più concentrazione possibile attraverso delle tecniche apposite.
Devo dire che con questo metodo mi ci ritrovo e mi permette di entrare in campo con la massima determinazione sin da subito.
In un momento di tensione durante la partita, devo essere strategico e devo cercare di trasmettere calma sin da subito, cercando di utilizzare un linguaggio adatto alla situazione per non complicare maggiormente le cose e devo dire che finora non ho mai avuto grandi problemi.
Qual è la partita più difficile o memorabile che hai arbitrato fino ad oggi? Cosa la rende speciale per te?
La partita più memorabile ad oggi, è la finale dello scorso anno di Coppa Ticino (2023), in qualità di assistente arbitro.
È stata speciale perchè si è disputata a Caslano, ed in finale si affrontavano Malcantone e Balerna.
Questa finale si disputò esattamente 10 anni dopo nello stesso campo dove persi una finale di Coppa Ticino da giocatore ai danni del Balerna, in un derby tutto momò tra Castello e Balerna.
Quei giorni ricordo che pensavo continuamente a questa coincidenza.
È passato però poco tempo da quando arbitro, mi auguro ci possa essere qualche altra partita che diventerà memorabile per un motivo o per l’altro, ancora più di quella menzionata.