Quello che mi ha insegnato papà: la ‘fede’ non retrocede

Calcio, Editoriali

Autore Simone Belluzzi

15 Maggio 2025

Per me, la Samp è sempre stata la squadra di papà. E, di riflesso, un po’ anche la mia.
Da piccolo, quando arriva il momento di scegliere da che parte stare — quale “battaglia” fare propria — una di quelle scelte che sembrano piccole, ma che ti restano addosso per sempre — papà mi ha sempre detto: “Scegli un’altra squadra, noi doriani soffriamo troppo.”
Così, per accontentare un po’ anche mamma, nonno e zio ho scelto i colori nerazzurri. Ma con un occhio — e forse anche un pezzo di cuore — rivolto ai blucerchiati.
Estasiato da quella marea di gente “con tanti colori”, che amava così visceralmente una squadra da metà classifica come se fosse la più grande del mondo.
Per me, la Samp è stata la passione del mio babbo, è stata la sua voce che si alzava davanti alla TV, le ciabatte volate contro il televisore per “l’ennesimo” gol in fuorigioco di Inzaghi, la gradinata e tutti quei pomeriggi d’infanzia a guardare “Quelli che il Calcio” e “90′ minuto”, quel senso inspiegabile di appartenere a qualcosa anche se non lo avevi scelto.
È stata la prima “cosa non importante” che, in realtà, era importante davvero.
Perché da piccolo, forse, la Samp mi ha insegnato il significato più profondo della parola passione.
Ho vissuto, sempre al fianco di papà, anni belli — non quelli bellissimi di Vialli e Mancini — ma quelli dell’Europa sfiorata con Cassano e Pazzini, della Champions sfumata ai preliminari contro il Werder Brema. E poi ho vissuto anche il dolore: la prima retrocessione. E, ieri sera, la caduta che fa più male.

Non ho detto nulla a papà.
Non ce l’ho fatta.
Perché non posso capire fino in fondo cosa prova chi ha visto la Samp brillare e poi spegnersi, piano.
Mi sono solo assicurato che non smettesse di seguire e amare la sua Squadra.
E lui, con la calma che ha solo chi ne ha viste tante, mi ha detto:
“È facile tifarla quando si vince. È quando le cose vanno male che bisogna amarla ancora di più. Stai sereno: Io la mia Doria la seguo anche se riparte dalla Terza Categoria.”
Perché il calcio — e il rapporto con la propria squadra del cuore – sono roba irrazionale.
È un legame che non conosce categorie, risultati o classifiche.
È una fede che si tramanda, che ti forma, e solo chi la vive davvero, questa passione, può capire fino in fondo cosa significa.

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